Aumento prezzi del pellet. «Va sviluppata la filiera nazionale del legno»

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Christian Morasso
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Con i prezzi del gas alle stelle, le famiglie italiane sono alla ricerca di un’alternativa altrettanto funzionale per riscaldare le proprie abitazioni. Chi può, tenta una conversione radicale all’elettrico, magari sfruttando le possibilità offerte dai vari bonus fiscali, ma sono in molti a rivolgersi verso soluzioni più tradizionali come le stufe e le caldaie a legna o a pellet.

Sono oltre 8,3 milioni gli impianti a biomasse installati nel Paese, in calo di un milione di unità rispetto al 2014 ma con un aumento crescente dell’interesse verso il pellet, arrivato a rappresentare il 72 per cento degli apparecchi venduti e 3,2 milioni di tonnellate di combustibile consumato annualmente.

 

Gli aumenti del pellet

Secondo i dati forniti di Aiel, l’Associazione che raggruppa le principali imprese italiane della filiera legno-energia, i prezzi del pellet franco partenza e al netto dell’Iva sono aumentati per il consumatore ad aprile di 108 euro la tonnellata rispetto al 2021, passando da 233 euro a 341 euro.

La media nazionale per il classico sacco da 15 chili che il consumatore acquista nei negozi è di 5,77 euro con un aumento di 1,2 euro rispetto ad un anno fa con picchi che nel Nord Est sono prossimi ai 9 euro a sacco e nelle isole si avvicinano ai 10 euro.

Cifre importanti, soprattutto se si considera che un sacco da 15 chili al giorno è un fabbisogno piuttosto comune e che, nelle aree interne del paese, prezzi così alti costringono i distributori a ridurre la propria marginalità rendendo meno attrattivo fare stock e lasciando scoperto il consumatore finale.

 

Un altro combustibile che viene da est

«Mentre la filiera forestale del legno e del cippato è di prossimità, il pellet ha altre dinamiche», spiega a Tempi Annalisa Paniz, direttore generale di Aiel. «L’embargo alla Russia e ciò che sta accadendo in Ucraina ha fatto sì che vengano meno i quantitativi che solitamente venivano acquistati soprattutto in Russia dalle grandi centrali del Nord Europa e che ora si rivolgono al mercato europeo, solitamente vocato al cliente residenziale, creando un fenomeno distorsivo del mercato».

Il pellet è, insomma, una commodity quasi come il gas liquefatto: si produce localmente ma si consuma globalmente e viene esportato senza difficoltà dove conviene di più.

«È il frutto della lavorazione dei sottoprodotti dell’industria di lavorazione del legno», continua Paniz. «Negli ultimi vent’anni questo segmento industriale è diminuito in maniera considerevole in Italia dove sono venute meno le industrie di prima lavorazione del legname e, di conseguenza, gli scarti per la produzione del pellet. Questo fa sì che la produzione sia sostanzialmente stabile e non sufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale».

 

Una filiera da rivitalizzare

Al consumatore finale la provenienza estera del pellet è cosa piuttosto nota: Slovenia, Ungheria ma anche Austria, dietro l’etichetta dei sacchi in italiano e un importatore nazionale il produttore è quasi sempre estero.

«Aiel auspica che, con la recente pubblicazione della Strategia forestale nazionale, ci sia anche la possibilità di sviluppare, o sviluppare di nuovo, la filiera nazionale del legno», conclude Annalisa Paniz. «Una filiera dove tutto si tiene insieme: salvaguardare la funzione ecosistemica del bosco, garantendone al contempo un maggiore utilizzo attraverso le aziende di prima e seconda lavorazione del legno, assicurando di conseguenza anche gli scarti necessari per aumentare la produzione nazionale di pellet».

Il patrimonio boschivo nazionale è storicamente sottoutilizzato e questo genera degli scompensi tanto nella gestione delle foreste quanto nel dimensionamento delle imprese, un problema che si è fatto particolarmente sentire anche durante situazioni emergenziali come la tempesta Vaia. Ora, con la Strategia nazionale, si potrebbe finalmente cambiare rotta.

 

 

fonte:tempi

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